
Ricostruzione della cerimonia intorno al Masso di Cemmo nr. 3 (disegno di A. Gosio).
Presso ogni comunità arcaica il gesto e la danza assolvevano a due scopi fondamentali: il primo consisteva nel rafforzare le condizioni di una partecipata convivenza sociale. Tale obiettivo veniva conseguito, in occasione di feste e cerimonie, proprio grazie alla sincronizzazione su base ritmica dei movimenti coreutici. Anche nei balli che ancora oggi si fanno nel corso delle feste di paese, possiamo vedere che, mano a mano che i movimenti di ciascun singolo danzatore entrano in sincrono con quelli degli altri partecipanti alla danza, da una parte si assiste al progressivo annullamento dell’individualità di ogni singolo; dall’altra, questo allentamento della coscienza da luogo ad un profondo senso di condivisione, di benessere collettivo, che produce il rafforzamento delle relazioni interpersonali. L’insieme danzante diviene in tal modo l’espressione integrale e concreta dell’unità del gruppo. Il secondo scopo, che deriva dal primo, sta nel fatto che, sempre nella concezione arcaica, l’insieme danzante, una volta raggiunto il suo equilibrio interno, si trasforma in una sorta di macchina, un generatore di energia che è messo in modo nei momenti più delicati dell’anno (l’arrivo della primavera, il tempo della semina, il giorno del solstizio o dell’equinozio ecc.).

Tra le scene di danza dell’Età del Bronzo, quella incisa sul Masso di Cemmo nr. 3 ha valore paradigmatico perchè apre la discussione su alcune modalità dell’uso dell’immagine. La mia ipotesi è che le scene presenti sul Masso siano la descrizione della procedura rituale che avveniva nello spazio cerimoniale che ospitava il Masso stesso. Così, da una parte, il masso istoriato, oggetto del culto, posto al centro dello spazio cerimoniale, aveva la funzione di asse cosmico attorno al quale si svolgeva il rituale; dall’altra i due distinti momenti coreutici, che si svolgevano intorno al masso, erano aggiunti al supporto, per far “agire” per sempre la cerimonia raffigurata.
L’energia prodotta nel corso della danza si immette nell’universo e guida il processo cosmico verso la realizzazione delle aspettative della comunità umana. Così, una volta raggiunto il suo equilibrio interno, l’insieme danzante si trasformava in una sorta di macchina, un generatore di energia che veniva periodicamente avviato nel corso delle cerimonie organizzate nei momenti più speciali dell’anno (inizio di primavera, il momento della semina, il giorno del solstizio o dell’equinozio ecc.).
Se dunque la danza era intesa come un movimento ritmico collettivo con una forte connotazione sociale (l’identificazione dell’individuo con il gruppo) e una irrinunciabile funzione sacrale (il controllo degli eventi naturali) quale senso poteva avere la sua riduzione ad immagine, medium per nulla adeguato a riprodurre le due componenti basilari della danza, il ritmo ed il movimento, che erano ritenuti in grado di smuovere persino l’universo intero?
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