5.b Natura sacrale del supporto

da | Gen 20, 2018 | Senza categoria | 0 commenti

La forza di un’immagine dipende in massima parte dalla natura sacrale del supporto che la ospita. Presso molte culture arcaiche, alla roccia, in virtù del suo perdurare nel tempo, viene attribuito un valore soprannaturale. J. David Lewis Williams, studioso dell’arte dei Boscimani del Kalahari e autore dell’importante saggio “Through the veil: San rock paintings and the rock face” (South Afr. Arch. Bull. 45: 5-16, 1990), afferma che non dobbiamo intendere la superficie della roccia, o altri tipi di supporto sacrale, come uno spazio neutro (“silent support”) che si limita a ricevere una forma. Piuttosto, come lui stesso ha avuto modo di apprendere dalla viva voce degli ultimi artisti boscimani, la superficie della roccia è concepita come un velo, una sottile pellicola che separa il mondo umano da quello sottostante, sede degli spiriti della terra. 

R15 VITE FOSSATI

Località Vite (Paspardo). Danza compiuta da due guerrieri armati di spada e scudo rituale. Al centro, il busto di un antropomorfo che esce dalla terra. Periodo IV/3, V sec. a.C. (da Fossati, Angelo, L’Età del Ferro nelle incisioni rupestri della Valcamonica,  1991.

Secondo lo studioso sudafricano non è possibile comprendere le pitture rupestri del popolo San se non si tiene conto che l’artista boscimano, traducendo in immagini le concezioni del suo popolo, ha operato nella piena coscienza che il supporto fosse una soglia che separa i due mondi. Questa idea è inscindibile dall’azione che si compie al fine di produrre immagini. Alcuni esseri, animali o mostri, sono ad esempio  rappresentati a cavallo tra la realtà superiore e quella inferiore, con alcune parti del corpo visibili, perchè di qua dal velo, ed altre non rappresentate perchè concepite dall’artista ancora dentro la roccia. Questo pensiero appartiene alla mentalità arcaica in generale, perchè lo ritroviamo ancora recentemente nella nostra tradizione popolare. La prof. G. Salvi­oni,  studiando i culti e le credenze della Valsassina e Valcavargna (prealpi lombarde), ha scoperto che presso le genti di quelle vallate fino agli anni ’60 del secolo scorso era ancora viva una concezione animistica della natura: pietre, acqua, alberi, erano ancora considerati fonte di poteri particolari e sede di esseri straordinari, come fate, folletti, uomini selvatici (G. Salvioni, I fuochi dei sette fratelli, Ricerche etno-an­tropologiche su tradizioni, culti e magia in Valcavar­gna e Valvassina (Lombardia), 1982. Anche il culto dei morti praticato dai valligiani mostra ancora elementi molto arcaici che si ritrovano praticamente identici nelle varie parti del mondo e nelle culture più diverse. Esiste dunque una certa continuità tra i contenuti dell’espressione figurativa della protostoria europea e quelli della nostra tradizione popolare.

sileno

Scena di anodos, risalita di uno spirito dal mondo inferiore. Lo spirito esce dalla terra richiamato
dal battere del piede del sileno. Ceramica attica a figure nere, V sec. a.C. (da Bèrard, C. Anodoi: Essai sur l’imagerie des passages chthoniens, Bibl. Helvetica Romana, 13 Inst. Suisse de Rome, 1974.

Ad esempio, l’elemento rappresentato tra due guerrieri in una scena di danza armata incisa sulla roccia 15 in località Vite di Paspardo (V secolo a.C., è stato interpretato come lo spirito del defunto che assiste ad una fase dei suoi giochi funebri. Anche nella ceramica greca sono presenti situazioni analoghe che Claude Berard chiama “scene di anodos”. Il battere del piede del sileno sulla terra richiama dal mondo inferiore uno spirito attraverso un “passaggio ctonio”. Nella mentalità arcaica le regioni del cosmo non sono entità separate, ma espressione di un’unica manifestazione; i confini tra i registri cosmici, il cielo, la terra, il mondo infero, erano periodicamente attraversati da flussi di energia e da entità sovrumane. Ciò produce esiti talvolta positivi, talvolta negativi sulla vita dell’uomo. E’ proprio in questi punti, dove si verificavano i trapassi (“rotture di livello”), dove si manifesta il sacro (ierofania), ad essere scelti  come sedi per le cerimonie dove spesso venivano realizzate le immagini. Le rocce incise della Valcamonica sono uno di questi spazi sacri. Nelle incisioni rupestri sono rilevabili alcune regole cosmologiche che erano ben presenti all’incisore quando produceva le immagini. I cosiddetti busti di antropomorfo, ad esempio, che troviamo spesso in associazione con le danze armate, sono figure umane a cui è stata incisa solo la parte superiore del corpo. Come gli animali mitici descritti da Lewis Williams, metà dentro e metà fuori dalla roccia, i “busti” sono ritratti nel momento in cui attraversano il velo, la soglia tra i mondi. L’antropomorfo, colto nel preciso istante  in cui avviene l’attraversamento, è visibile solo nella sua parte superiore, ma è solo questione di un istante, poichè nel momento successivo della risalita (anodos) sarebbe visibile l’intera figura, mentre nel caso della sua discesa (cathodos) la stessa non risulterebbe visibile perchè già dentro la roccia.

stele felsinea 130

Stele felsinea nr. 130 (ca. V sec. a.C.)             Un guerriero si contrappone ad un mostro infernale con torso, testa e braccia umani, gambe a coda di serpente. L”Ÿessere scaturisce dalla terra secondo lo schema del “anodos” già descritto ( da Morigi Govi, C., Vitali, D., Il Museo Civico Archeologico di Bologna,  1982).

 

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