Nella tradizione occidentale la comunicazione avviene in prevalenza mediante atti di parola, rispetto ai quali la mimica assume un’importanza sempre più secondaria. In altre parole, la nostra cultura è strettamente legata al modello fonetico, al mondo della parola, al punto che non si potrebbe formulare un ragionamento senza prima attivare una sorta di discorso interiore. Il nostro modo di pensare è come un parlare senza usare la voce. Al contrario, i dati forniti dalle culture primitive e preistoriche confermano l’esistenza di un inscindibile legame tra il pensiero e il modo di esprimersi direttamente con il corpo e il gesto. Nella tradizione arcaica il corpo è considerato uno dei centri di irradiazione simbolica, al punto che lo stesso elemento spirituale può agire solo nella misura in cui dispone di uno strumento gestuale. Marcel Mauss, antropologo del ‘900, conferma nei suoi studi questa indicazione, mostrando come, presso i popoli primitivi, ogni gesto sia dotato di una intrinseca capacità di interagire con il mondo e di produrre su di esso effetti positivi o negativi. E’ per questo – dice Mauss – che “atto tecnico, atto fisico e atto magico religioso sono confusi per l’agente”. (MAUSS, 1965, 392).
Anche il fìlologo Tchang Tcheng Ming ha mostrato come le più arcaiche fasi di sviluppo della scrittura cinese derivano dal linguaggio dei gesti. Infatti, molti dei segni in esse utilizzati non rappresentano direttamente oggetti naturali, ma sono riproduzioni schematiche dei gesti descrittivi corrispondenti. La posizione dell’orante, per esempio, utilizzata nella mimica convenzionale cinese per designare l’oggetto “albero”, viene utilizzata dalla scrittura cinese per rappresentare la parola “albero”.
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