
Sèfar (Tassili-n-Ajjer, Marocco, periodo delle Teste Rotonde, VII mill. a.C). Scena di adorazione di una grande divinità maschile. Le adoranti, di cui sono evidenziati i seni e l’organo sessuale, sono ritratte di profilo. Poichè la divinità è colta mentre a sua volta compie il gesto dell’adorante, questa posa gestuale la pone le conferisce a sua volta la funzione di mediatrice tra la realtà terrestre e un ambito gerarchicamente superiore. A destra, un’adorante è rappresentata con il corpo parallelo al piano di campagna, non si sa se perchè si sta librando nell’aria o perchè in relazione con la figura animale alla sua sinistra.
La figura umana è uno dei temi più raffigurati in ogni periodo dell’arte post-paleolitica. Nella logica della religione arcaica, ciò che viene rappresentato non sono però i movimenti o i gesti ordinari compiuti dall’uomo nella vita quotidiana. Attraverso l’immagine viene colto e fissato l’aspetto più significativo del comportamento umano, quello a cui è riconosciuta un’efficacia magica e la capacità di interagire efficacemente con il cosmo.
L’opportunità di comprendere quale significato poteva avere il fatto di rappresentare una danza nonostante il medium figurativo non fosse in grado di esprimere, se non in modo approssimativo l’idea del movimento, del ritmo, dell’accompagnamento musicale, del canto, mi è stata offerta da un testo di Maurice Bloch, “Symbols, Songs, Dance and Features of Articulation. Is religion an extreme form of traditional authority?, (Archives Europèennes de Sociologie, XV (1), 1975, pp. 55-81, trad. it. in:. EM, nr. 2, 2005, pp. 247-275 ). In quel saggio il Bloch analizza criticamente il modello saussuriano significante-significato, concezione linguistica secondo la quale i simboli vengono isolati dai processi rituali ed analizzati ed interpretati come unità di significato. Al contrario Bloch sostiene che il significato non può dunque essere conseguito utilizzando il modello saussuriano, perchè non è possibile comprendere i simboli di un rituale “se prima non si studia il mezzo di comunicazione privilegiato dal rituale nel quale essi sono coinvolti” (Bloch, 2005, p. 247). Se si vuole comprendere la gestualità e la danza documentata dall’Iconografia Preistorica è pertanto necessario condurre preliminarmente un’indagine sulla struttura linguistica delle immagini, attraverso la quale diviene percepibile la sostanziale diversità fra atto quotidiano e atto sacro. Infatti la comunicazione quotidiana dell’uomo è caratterizzata dalla massima libertà combinatoria e da un estremo individualismo formale. La capacità di esprimersi (con parole, gesti o immagini) è in stretta relazione con la facoltà di creare libere combinazioni sintattiche, tramite le quali ogni individuo è in grado di articolare qualsiasi discorso. Così, in una situazione comunicativa libera, cioè non condizionata da fattori extra-linguistici (per esempio una norma giuridica o religiosa), ad un atto “A” può seguire un ampio e discrezionale numero di atti “B” (Codice Aperto). Al contrario, se nella comunicazione vengono introdotte forme appropriate, cioè formalizzate, di linguaggio (come avviene quando siamo di fronte ad una comunicazione di tipo sacrale, cadono alcune potenzialità comunicative e con esse svaniscono rapidamente la libertà sintattica, l’individualità e la creatività. In tal modo, ponendo un atto linguistico “A”, gli atti che ne conseguono – afferma Bloch – formeranno un codice le cui regole saranno predeterminate e la cui accettazione influenzerà la struttura del nuovo linguaggio (Codice Chiuso). E’ fuori di dubbio che nell’Arte Preistorica la creatività non ha alcun spazio e l’individuo non è incluso tra gli oggetti di rappresentazione, in quanto è prevalente una visione collettiva. Il linguaggio utilizzato nell‘Arte preistorica è dunque formalizzato predisposto per esprimere un contenuto sacrale (Codice Chiuso). La differenza tra Codice Aperto e Codice Chiuso, se applicata al sistema gestuale, produce una totale chiarificazione sulla funzione del gesto e della danza nell’Iconografia Preistorica.

La tabella, che rielabora le informazioni che Maurice Bloch ha raccolto, presso il popolo Merina del Madagascar, sul modo tradizionale di intonare il canto sacro, mostra come tale struttura linguistica sia applicabile al gesto e alla danza (M. Bloch, Symbols, Song, Dance and Features of Articulation, in “Archives Europèennes de SociologieË®, n. 15, 1974, p. 58).
Ogni posa gestuale in cui l’antropomorfo è rappresentato non è dunque una libera espressione ed un atto individuale, ma si riferisce sempre e solamente ad un ridotto numero di gesti che vanno ripetuti invariabilmente. A differenza della nostra cultura occidentale, le culture arcaiche considerano il gesto e la danza non come un’attività libera e creativa, ma come la fedele ripetizione di uno schema cognitivo posto in atto al fine di produrre due effetti: da una parte, per introdurre nel cosmo il principio di cambiamento auspicato dalla comunità umana; dall’altra, per guidare ciascun membro della comunità all’interno di un processo di identificazione con i modelli di comportamento, la tradizione tecnica, la norma sociale, il dogma religioso della società a cui appartengono.

Roccia 12 di Seradina (Capodiponte, (Eta del ferro, 8/7 sec. a. C.) L’immagine mostra un atto tecnico, l’aratura, che costituisce una delle premesse per la sopravvivenza delle comunità agricole della protostoria alpina. All’atto tecnico corrisponde, subito dietro, l’atto simbolico dell’accoppiamento sessuale sui solchi, già descritto dal Frazer nel suo “Ramo d’oro”. Anche Marcel Mauss afferma che i gesti delle tecniche, per la loro idoneità a produrre gli effetti richiesti, sono veri e propri atti magici (Mauss, 1965).
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