La ricerca semiotica che Vladimir Propp ha condotto nel suo saggio Morfologia della fiaba (1929), ha evidenziato come nella letteratura popolare europea del ventesimo secolo fosse ancora viva la stessa concezione dell’universo tripartito ed intercomunicante che sta alla base della Cosmologia arcaica. Nella fiaba di Brunella, ad esempio, la rottura dei livelli cosmici pone in comunicazione diretta la comunità dei vivi con quella dei defunti, a cui veniva riconosciuta la funzione di “aiutanti dall’altro mondo”. La mano della madre defunta che si protende fuori dalla tomba, l’albero piantato sulla tomba, l’uccello che se ne sta appollaiato sull’albero, “simbolo fin troppo noto dell’anima del defunto”, esprimono la credenza, ancora viva nella tradizione popolare, che i defunti potessero oltrepassare la soglia che li separa dal mondo dei vivi ed entrare in comunicazione con i propri cari, in modo da compiere prodigi e punire o premiare gli uomini. Dal momento in cui queste funzioni ricorrenti nella fiaba vengono trasferite dentro un procedimento di “Archeologia del Sapere” (vedi post nr. 6), diventano tout court premesse per una più adeguata comprensione delle immagini dell’arte preistorica e primitiva. Sto parlando in particolar modo della classe di rappresentazione degli antropomorfi e dei guerrieri. I primi, in virtù della ristretta gamma dei loro gesti significativi, ricoprono il fondamentale ruolo di mediatori cosmici; i secondi mettono la funzione guerriera al diretto servizio del sistema liturgico.

Naquane, Capodiponte, Roccia 35. Busto di antropomorfo nella posa dell’Uomo Cosmico. Sarebbe errato pensare che questa rappresentazione sia incompleta. In realtà, come Claude Berard ha ben evidenziato, l’immagine coglie l’attimo esatto in cui l’entità ha superato, ma solo con la parte superiore del corpo, il sottile velo che separa la dimensione terrena da quella ctonia.
Bellissimo articolo, denso e chiarificatore.
Le “funzioni” di Propp riguardano la sintassi del racconto, ne evidenziano la tipologia ricorrente, ne descrivono le tappe, la sequanzialità interlacciata. In questo senso non sarebbe strettamente corretto considerarle secondo il significato che ha solitamente la parola “funzione”. Nella tua esposizione «Dal momento in cui queste funzioni ricorrenti nella fiaba vengono trasferite dentro un procedimento di “Archeologia del Sapere”» sembra che le funzioni proppiane siano tese a un fine, funzionino per il raggiungimento di qualcosa. In realtà sono semplicemente dei tasselli strutturali, degli ingranaggi. Semmai è la fiaba nel suo insieme, nel suo arco narrativo che tende a qualcosa, che diventa racconto esemplare, che cessa di essere racconto per diventare “faticamente” qualcosa d’altro. Per questo motivo penso che il significato di una fiaba nel suo complesso possa aiutare a comprendere le raffigurazioni preistoriche, ma non attraverso le singole “funzioni”, perchè sarebbero strutturalmente e semanticamente inapplicabili, perchè non comparabili. Posso sommare 6 pere e 5 cavoli e avrò 11… cosa? Qualcosa di semanticamente sovraordinato (“cose da mangiare”, “doni ricevuti”, “vegetali”…). È questo livello sovraordinato che è chiarificatore, pur nella sua genericità, perchè riesce a concettualizzare in uno dati diversi e di per sè incomparabili. Si perde il livello analitico, ma si guadagna a livello eidetico.