31. Il gesto dell’adorante

da | Giu 15, 2018 | Senza categoria | 2 commenti

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Grotta di Altamira (Spagna, 18000- 13000 a.C.). Figure antropomorfe ibride ritratte di profilo con le braccia sollevate nella posa dell’adorante.

L’uomo dalle braccia alzate nell’atteggiamento dell’adorante è il tema figurativo più diffuso in ogni parte del mondo e in ogni tempo. I documenti più antichi sono gli antropomorfi ibridi del Paleolitico superiore (16000-14000 a.C.), poi gli adoranti che presiedono il girotondo magico intorno ai due personaggi “incaprettati” della grot­ta Addaura (Palermo, epigravettiano, ca. 9000 a.C.), fino al gesto che il sacerdote ancora oggi compie nel corso della Messa. Adoranti di profilo ricorrono nelle rappresenta­zioni attribuite alle fiorenti culture mesolitiche del Nordafrica, a partire dalla Cultura delle  Teste  Rotonde  (VII°  mill.   a. C.)  e sono presenti ininterrottamente fino all’Islam. (Huard).

Addaura restituzione

Addaura, Monte Pellegrino (Epigravettiano finale, 9000 a.C., da Anati).  Ricostruzione della più antica rappresentazione in cui l’uomo appare come protagonista di una vera e propria “scena rituale”. Alcuni personaggi che indossano maschere a becco di uccello circondano uno spazio centrale in cui sono posti due esseri umani mascherati e dotati di astuccio penico (una sorta di contenitore, in uso  presso molti popoli primitivi,  in cui viene inserito, celandolo così alla vista, il membro virile). I personaggi sono stesi per terra uno sopra l’altro, rivolti verso due direzioni opposte e con la schiena  inarcata da un laccio teso tra il loro collo e le gambe.  Per alcuni studiosi due personaggi centrali sono acrobati che eseguono le loro evoluzioni religiose di fronte ad un pubblico; per altri la scena fa parte di un rituale che prevede il sacrificio di due esseri umani la cui morte giungerà per il soffocamento (incaprettamento)..

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2 Commenti

  1. Marisa

    Complimenti, un ottimo articolo!

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  2. Vittorio Volpi

    Riguardo al «desiderio di immortalità» nutro diversi dubbi. Mi sembra che si retrodati una concezione venuta più tardi, con la concezione di una “divinità” e soprattuto che questa divinità provenga da un altrove, un altrove che poteva includere anche il luogo dove gli uomini vanno quando muoiono. In altre parole, collegherei la riflessione e la paura della morte (e il desiderio di immortalità, che ne è la conseguente controparte) a quando in parallelo si pensa a una trascendenza. Penso all’uomo primitivo in costante e diretto dialogo con la natura, traendo da essa tutta la propria filosofia e identità. Rispetto a questo nucleo, l’idea stessa di trascendenza, di dèi, di un al di là, mi pare proprio una concezione (o rivelazione) che mal si adatti alla “mentalità primitiva” (o a come noi la pensiamo). Per il culto dei morti dovremo forse pensare a strade diverse di interpretazione, più umane (il luogo di sepoltura che àncora il ricordo), forse un tabù verso la decomposizione, a una reificazione della “scomparsa”.

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