Nel libro della Genesi è scritto: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». (Gen 1, 26-28.31a). In base a questo mito delle origini, che costituisce il punto di partenza della religione giudaico-cristiana, l’essere assoluto, Dio, può creare l’uomo a sua immagine e somiglianza solo ad una condizione: di essere egli stesso dotato di una struttura antropomorfa.
La concezione del corpo che risulta dall’analisi dei documenti iconografici, archeologici ed etnografici, ci consente di elaborare un’idea di creazione abbastanza simile a quella giudaico-cristiana, ma fondata su una logica diversa, che si sviluppa partendo dalle modalità conoscitive proprie dell’uomo arcaico. In questa prospettiva l’atto creatore è una facoltà che spetta all’uomo, il quale attribuisce all’Universo la forma di un corpo divino dopo averla ricavata, per analogia, dal proprio corpo. L’uomo arcaico considera dunque gli eventi cosmici come atti e comportamenti in cui si manifesta un Dio dotato di una forma umana. A porre le basi di questa ipotesi, senza però averne sviluppato tutte le premesse e tratto tutte le conclusioni, è stato il sacerdote gesuita e antropologo Marcel Jousse (1886-1961). Per lo studioso francese il problema della conoscenza originaria è un dramma che si riconduce a due attori: da una parte la molteplicità delle manifestazioni del cosmo, dall’altra l’uomo arcaico, da lui denominato Anthropos. Di fronte allo spettacolo dell’Universo Jousse non può fare a meno di porsi due domande: cosa conosce l’uomo? E come conosce? La risposta è chiara: ciò che l’Anthropos conosce sono le azioni da lui rilevate nel cosmo e il modo di conoscerle è guidato dai suoi strumenti cognitivi, in primis il corpo e il linguaggio gestuale. Partendo da questa prospettiva la totalità si presenta essenzialmente come energia, la natura esterna come movimento. “Quei popoli spontanei – continua Jousse – davanti a una cosa che si muove cercano di vedere l’azione e sotto l’azione di afferrare l’agente”. Ma la forza che fa agire nessuno la vede. Un respiro invisibile sembra pervadere la natura fino a mostrarla avente vita a sè. La propria personalità e la propria vita sensibile sono l’unica base di cui l’uomo arcaico dispone per una coerente osservazione causale. Così il cosmo viene letto come una concatenazione di interazioni, un formidabile groviglio di gesti interazionali. “Noi – dice Jousse – conosciamo le cose nella misura in cui si gestualizzano in noi”. L’uomo arcaico pensa con tutto il suo corpo e attribuisce le azioni che lui vede realizzarsi nel cosmo ad un’entità assoluta, un super-uomo, Dio, appunto. Partendo dall’attribuzione di caratteri macro-antropomorfi al cosmo, per millenni sono stati narrati miti che spiegano come la nascita del cosmo sia conseguenza del sacrificio e del successivo smembramento di un immenso essere umano, l’Uomo Cosmico o Macrantropo, esistente prima della creazione. I pezzi del suo corpo andranno così a comporre l’intero universo.
Nei miti di origine provenienti dall’area medio-orientale, il corpo dell’essere primigenio viene solitamente diviso in due parti che andranno a formare la terra e il cielo. Così avviene nel poema babilonese “Enuma elish” (II mill. a. C.) quando il corpo della dea Ti-amat, che il dio Marduk ha diviso in due come le valve di una conchiglia, va a formare le due parti del cosmo: il cielo e la terra. Nel mito egiziano, Shu, dio dell’aria nonchè asse cosmico, separa Geb (dio della terra) da Nut (dea del cielo) interrompendo la loro unione sessuale (Piantelli, 1983).
Nei miti di provenienza indoeuropea, le parti dell’universo derivano dal corpo smembrato dell’Uomo Cosmico Primordiale (Macrantropo). Le fonti occidentali in nostro possesso, il Grimnismal, antico poema germanico, e il Gylfaginnig del norreno Snorri Sturlson (XIII secolo), raccontano la storia di Ymir, il primo essere dell’Universo, un gigante preesistente alla creazione che viene ucciso e smembrato da Odino, la suprema divinità dell’Olimpo germanico. “Dalla carne di Ymir fu formata la terra, dal sangue i mari, montagne dalle ossa, alberi dai capelli e dal cranio il cielo”.
0 commenti