Danza e Geometria tra la fine dell’Età del Bronzo e la prima Età del Ferro (950-750 a.C.).

da | Ago 16, 2019 | Senza categoria | 1 commento

Le premesse della tradizione coreutica dell’Europa antica e medievale sono da ricercarsi in due repertori figurativi sviluppatisi tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro, più precisamente:

A – Il repertorio figurativo delle incisioni rupestri della Valcamonica, delle stele decorate del sud di Spagna e Francia, delle Stele Felsinee, Lunigianesi e Daunie, manifestazioni attardate del megalitismo europeo. Chiunque, familiare o amico, si fosse avvicinato alla superficie delle rocce incise o all’area sacra in cui le stele erano infisse, avrebbe potuto interagine con esse nelle modalità previste dal rituale (canto, gestualità, danza, preghiera, sacrificio).

B – Il repertorio figurativo della ceramica decorata rinvenuta nelle necropoli ad incinerazione del Midi della Francia (i cosiddetti Campi di Urne Tardivi: Moras-en-Valloire, Vendres, Camp Allaric, Vidauque, Cailhac, Vaucluse, Villeplaine, Villement, Las Fados, Queroy, Rancogne, ecc.), quella protoetrusca (Cuma, Sala Consilina, Pontecagnano, Montalto di Castro, Campo Reatino, Marsiliana d’Albegna) e alpina (Bourget, Sesto Calende). Il fatto che vasi e piatti decorati siano stati deposti sotto terra insieme alle ceneri del defunto, ci induce a credere che nessun vivente, terminato il rituale funebre, avrebbe potuto accedere a tali immagini, la cui fruizione diventava pertanto prerogativa esclusiva dell’anima del defunto. Dunque la danza rappresentata sul supporto sacro, avrebbe continuato a danzare solo alla presenza del defunto, allietandolo fino alla notte dei tempi.

Nel rituale funebre l’oggetto in ceramica assolveva ad una duplice funzione: il vaso era il contenitore dei resti del defunto raccolti dopo la sua incinerazione; altri vasi e piatti facevano parte del corredo con il quale il defunto avrebbe affrontato la vita dopo la morte. Sulle pareti dei vasi è rappresentato un ampio repertorio di gesti formalizzati: l’adorante (Uomo Cosmico), l’antropomorfo con le braccia a croce (Uomo Universale) o rivolte verso la terra (Uomo Ctonio). Queste espressioni gestuali che sono collocate all’interno di metope in associazione con elementi geometrici e simboli, fanno parte delle strisce che decorano la pancia del vaso o l’interno del piatto. La recente ricerca condotta sul Gioco del Mondo (Ragazzi, 2015), nella quale ho analizzato il tracciato sul quale i bambini eseguono i salti da un riquadro all’altro, ha ben evidenziato come nell’iconografia arcaica questi elementi geometrici esprimono la struttura, la posizione e talvolta persino il movimento del cielo rispetto all’osservatore. Dunque, nella dinamica della rappresentazione, alle figure geometriche è attribuita una importante funzione cosmologica.

bronzo-ferro1.jpg

1. Gresine, (Lago di Bourget, Savoia, VIII sec. a.C.). La decorazione del piccolo vaso, formata da sottili lamelle di stagno tagliate ed applicate per costruire il disegno, è composta da 5 metope. Da sinistra, nella prima metopa sono state realizzate 27 losanghe (elemento numerico); la seconda è una figura non riconoscibile; la terza è formata da una serie di lamelle che formano una sorta di griglia diagonale; la quarta mostra una danza compiuta da quattro antropomorfi schematici con la testa formata da una losanga. Può sembrare che i danzatori siano stati ritratti in movimento, ma ciò è dovuto al fatto che le lamelle si sono scollate e, di conseguenza, spostate rispetto alla posizione originale; a destra dei danzatori sta una sorta di dama che richiama una svastica; infine, due elementi chiusi che contengono ancora piccole losanghe (Combier, 1973).  2. Tomba del Guerriero (Sesto Calende, Cultura di Golasecca, VI sec. a.C.) Urnetta decorata con figure umane schematizzate, itifalliche, che si tengono per mano. Il documento è troppo frammentario per un’efficace descrizione. Nello stesso tempo la presenza di una scena di danza in una ceramica presente in quel contesto ““secondo R. De Marinis la tomba conteneva i resti combusti del defunto, esattamente come nel Midi francese ““ nonostante l’unicità del documento, realizzato con una tecnica “a risparmio, allarga a pieno titolo l’area della nostra indagine.

La Danza delle Origini

Versione cartacea

di Gaudenzio Ragazzi

15.00

C’era una volta il Torchio

Versione digitale

di Gaudenzio Ragazzi

8.60

L’ Albero del Tempo

Versione digitale

di Gaudenzio Ragazzi

4.90

1 commento

  1. Vittorio Volpi

    Purtroppo non riusciamo a staccarci dai modelli linguistici, antropologici, cognitivi della nostra cultura e della nostra Weltanschauung, corretta e indirizzata attraverso il corso di migliaia di anni, di prove-ed-errori. E profondamente radicata. È il caso dell’espressione che usi «corredo con il quale il defunto avrebbe affrontato la vita dopo la morte». Se morendo si andava nel non-tempo nel non-spazio, allora anche il corredo cambia completamente di prospettiva: da qualcosa che accompagna il defunto a qualcosa che i vivi comunicano di se stessi (a se stessi, come comunità, come condivisione di credenze): le proprie conoscenze, speranze, visioni, concettualizzazioni, ipotesi. Sanno che non c’è risposta: seppellire il morto e seppellire insieme anche il corredo è lanciare all’universo, a se stessi l’eterna domanda, che a tutt’oggi non ha avuto risposta. Che esista una “vita dopo la morte” la ragione non sa dire: ipotizzarla serve a racquietarci, a consolarci, a farci coraggio, a darci forza per vivere ora (noi che siamo i fortunati che vivono ancora), a batterci colpi sulla spalla dopo le risposte mancate; a soffiarci dal pugno, sconsolati, le quattro mosche che abbiamo racimolato. La pietra, la terra, il fuoco ci rimandano solo l’eco della nostra stessa domanda. E dunque dobbiamo arrangiarci (non dico “rassegnarci”). Senza credenze, senza fedi, senza al-di-là, senza Caronti, Cerberi & C., senza giudici. Può essere rassicurante crearci paesaggi lunari: serve ad allontanarci dall’assillo che ogni giorno al risveglio ci punge; serve ad ingannarci, ad accettare il compromesso. Un cantautore tedesco (Reinhard May) in una canzone del 1983 “Du hast mir schon Fragen gestell” [Mi hai già fatto molte domante] dà al proprio figlio questa risposta:

    Dahinter liegt der Quell des Lichts,
    Oder das Meer, vielleicht auch nichts,
    Vielleicht ein Park mit grünen Bänken,
    Doch eh’ nicht jemand wiederkehrt
    Und mich eines Bess’ren belehrt,
    Möcht ich mir dort den Himmel denken.

    Dietro c’è la sorgente della luce
    Oppure il mare, forse davvero nulla,
    Forse un parco con verdi panchine;
    Ma fino a quando qualcuno non tornerà indietro
    e non mi darà una risposta migliore
    mi piace pensare che là ci sia il cielo.

    Un secondo spunto mi vien quando parli della atemporalità e la aspazialità della mentalità primitiva: l’uomo moderni ci è arrivato solo da pochi decenni con la fisica quantistica

    Rispondi

Rispondi

Visualizza carrello